E’ da poco che abbiamo i numeri sulla grande rivoluzione della pubblicità

Gli investimenti sui social network da parte delle aziende hanno superato quelli sulla stampa.

Quindi: gli influencer sono la prima forma di pubblicità? Esattamente.

di Ester Viola, Partner senior presso Mascheroni & Associati

Formazione
14 nov 2022
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Tempo di lettura: 4 min
Influence Marketing

Il coinvolgimento di un Influencer da parte di un brand allo scopo di condurre un’azione di tipo promozionale supera l’approccio dello “spot” tradizionale. Infatti, se in quest’ultimo caso il testimonial promuove un determinato prodotto all’interno di uno spazio a ciò espressamente dedicato e come tale riconoscibile, nel caso in cui, invece, ciò venga fatto da un influencer, il prodotto viene presentato al pubblico all’interno di un contesto di maggiore quotidianità, attraverso immagini e video postati sui social network che spesso non fanno del prodotto il loro perno centrale.

In questo tipo di comunicazione la problematica risiede nella difficoltà per il consumatore ad operare una corretta distinzione tra ciò che è pubblicità vera e propria, ossia il frutto di un preciso accordo contrattuale tra un’azienda e il suo testimonial (in base al quale la prima remunera il secondo per l’utilizzo dei propri prodotti), e ciò che, invece, è espressione di gusti personali del singolo personaggio che li esprime su social media liberamente accessibili al pubblico dei consumatori.

Data questa situazione di incertezza sulle reali ragioni per le quali un influencer abbia deciso di presentare un prodotto all’interno dei propri post o di altre sue attività su internet, ossia se per proprio personale apprezzamento o perché remunerato per la sua promozione, l’assenza di strumenti atti a palesare queste motivazioni viene fatta rientrare nell’ambito della cd. pubblicità occulta o ingannevole.

La normativa italiana che regola questi aspetti della pubblicità è composta da diverse fonti:

  • Il Codice del Consumo (Decreto Legislativo n. 206 del 2005), per il quale le omissioni ingannevoli sono “quelle condotte in cui vengono omesse informazioni rilevanti che servirebbero al consumatore per prendere decisioni di natura economico-commerciale in modo consapevole e ponderato e che potrebbero, quindi, fuorviarlo”;
  • Il Decreto Legislativo n. 145 del 2007, per il quale la pubblicità ingannevole include “qualsiasi forma di comunicazione promozionale, quali che siano le sue modalità o mezzi di diffusione”;
  • La Legge n. 103 del 2012riguardante l’editoria e la gestione della pubblicità online”;

In aggiunta a queste regolamentazioni l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha dichiarato in un suo comunicato stampa del 24 luglio 2017 che le società e gli enti che si avvalgono dell’attività di influencers all’interno delle proprie dovranno seguire delle linee guida precise “fornendo adeguate indicazioni atte a rivelare la reale natura del messaggio, laddove esso derivi da un rapporto di committenza e abbia una finalità commerciale”.

L’AGCM è anche intervenuta in alcune sue pronunce in merito alla problematica della pubblicità occulta all’interno dei contenuti digitali pubblicati dagli influencers, avallando le linee guida adottate da alcune società ed indicandole come best practices che ogni operatore del settore dovrebbe adottare e seguire (si veda ad esempio il recente caso Barilla, provvedimento n. 28084 pubblicato nel Bollettino dell’AGCM n. 11 del 16 marzo 2020).

Inoltre, anche l’Istituto d’Autodisciplina Pubblicitaria (IAP), che dal 1966 regola le condotte in ambito pubblicitario, ha redatto nel marzo del 2017 un Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale (detto anche Codice della Pubblicità) e una Digital Chart (un regolamento di autodisciplina) che le agenzie ed i professionisti del settore sono invitati a conoscere e ad adeguarsi.

Infine, anche alcune grandi compagnie proprietarie di social media, quali Facebook e Instagram, hanno introdotto delle norme di condotta e strumenti atti a palesare le motivazioni per le quali gli influencers si ritraggono sui propri canali social mentre utilizzano determinati prodotti.

E’ abbastanza? E quali sono le lacune normative? E in particolare: come si tutelano le due parti (azienda e creator) dell’accordo?

C’è qualche linea interpretativa, ma può essere definito - ancora, dopo più di dieci anni - un terreno senza regole.

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